sabato 25 maggio 2013

219° Post - Interpretare e Tradurre.

Un saluto a chi mi legge.




Interpretare e Tradurre.

Camminando lungo i "sentieri" della vita,
molte sono le immagini vitali che si presentano al mio intendere,
ed i pensieri che esse producono
si affollano nella mia mente,
ognuno reclamando per se stesso, diritto di risposta,
devo trovare "pause" che ristorano,
perché l'impegno richiesto,
possa trovare ragionevole esaudimento.
Cerco e trovo "ispirazione",
perché so, che la sanità del mio intimo equilibrio,
è componente essenziale per potermi condurre,
ed avere così, capacità di dipanare quando si forma,
quel "groviglio" che la irragionevole frammentarietà degli eventi porta con sé,
e che la traduzione del mio  "insufficiente" interpretare
contribuirebbe a consolidare,
confermando a me stesso che la libera e consapevole "qualità"
è "ritmo" affermativo e necessario per i  miei passi.


Cordialità,
Sopangi.

domenica 5 maggio 2013

218° Post - Lineare e Comprensibile.

Un saluto a chi mi legge.



Le origini della nostra "eredità culturale" non hanno date certe, coinvolgono un tempo molto ampio,  hanno impegnato ed impegnano molti Studiosi, con il compito di tradurne e aggiornarne le "particolarità"  espresse nelle varie Civiltà, attraverso Scritti ed Immagini, con lo scopo di comunicare una "comprensione" sempre più accurata, che ci possa essere di valido aiuto per un ampliamento fattivo, utile ad un consolidamento di un "fare" sempre più ragionevole ed equilibrato, a beneficio individuale e della Collettività della quale e nella quale siamo "parte" costitutiva.
E' quindi accettabile il definire l'eredità culturale che ci è stata "trasmessa" sotto varie forme, come un "complesso di idee" che hanno dato Forma alla Struttura della nostra Civiltà ed ai molteplici comportamenti che di Essa sono parte fondante.
Nonostante i progressi indubitabili che sono stati fatti rispetto al passato anche più recente, ci sono "certi" pregiudizi che ancora oggi risultano di non facile comprensione. E' questo ad esempio il caso del rapporto uomo-donna.
L'argomento è di ampia portata ed è al di là delle mie possibilità espressive, ma parlando di eredità culturale, credo che qualche aiuto lo si possa ricevere (ciò naturalmente è valido per chi né avverta la questione), volgendo l'attenzione al nostro "passato storico" là dove le Convinzioni relative al ruolo e alla natura dell'uomo e della donna, hanno preso avvio, e che possiamo conoscere  perché "codificate" e quindi atte ad essere tramandate e per tale motivo  capaci di influenzare le generazioni future. 
Con ciò detto, mi farò aiutare, trascrivendo un estratto, che ricavo dal Libro :
 "GLI ANTICHI dalla Preistoria a Giustiniano" Autori Eva Cantarella, Giulio Guidorizzi - Einaudi Scuola - Edizione 1993 - 


Documento 10.B  (da pagina 177)

I filosofi, le donne e il dibattito sulla riproduzione.

Il mistero della nascita fu uno dei temi che affascinò, fin dall'inizio, i pensatori greci e diede luogo a un acceso dibattito: il figlio, essi si chiesero, nasce solo dal padre o anche dalla madre? 
Gli stessi termini in cui il problema si poneva rivelano un atteggiamento ben preciso che tendeva a minimizzare al massimo la constatazione che il figlio nasce dal corpo materno, e talvolta giungeva persino a cancellarla. Per gli stoici, infatti, il figlio nasceva solo dal padre. Per altri, invece, quali Parmenide, Democrito e per il medico Ippocrate, il figlio nasceva anche dalla madre.
Parmenide (nato attorno al 519 a.C.), ammetteva che la donna produceva anch'essa un seme, e sosteneva che il sesso del figlio dipendeva dalla posizione del feto nell'utero: se si trovava a destra, nella parte più fredda, sarebbe nato un maschio, se nella parte sinistra, più calda, sarebbe nata una femmina.
Secondo Democrito (nato attorno al 470 a.C.), la differenziazione sessuale dipendeva dal rapporto di forza tra il seme paterno e quello materno: se era più forte il primo nasceva un maschio, nel caso contrario, una femmina.
La teoria di Ippocrate era più complicata perché prevedeva che i semi maschili e femminili avessero pari forza. In questo caso il sesso del nascituro dipendeva dalla forza paritaria di ambedue i semi: se erano entrambi deboli nasceva una femmina, se erano entrambi forti nasceva un maschio.
Ma la teoria che ebbe maggior successo fu quella aristotelica. Convinto che anche la donna contribuisse alla riproduzione, Aristotele spiegò in che cosa consisteva il contributo femminile. Alla formazione dell'embrione, egli disse, concorrono sia il seme maschile sia il sangue femminile. Ma il ruolo di questi due elementi è diverso. Per dimostrarlo occorre considerare la natura del sangue; il sangue, disse Aristotele, deriva dal cibo e più precisamente dal cibo che l'organismo non espelle e che viene trasformato dal calore. Poiché la donna è meno calda dell'uomo, il suo calore è sufficiente a trasformare il residuo di cibo in sangue ma non può andare oltre. Il maggior calore maschile, invece, fa sì che il cibo ingerito dagli uomini, dopo essere stato trasformato in sangue, venga ulteriormente trasformato in seme. Ecco, quindi, nel momento della riproduzione, il seme maschile "cuocere" il sangue femminile e dar vita all'embrione.
Quindi il seme maschile ha un ruolo attivo, il sangue femminile uno passivo. Il contributo della donna è solo quello della materia, per definizione passiva, quello dell' uomo invece è creativo, dello spirito che crea e trasforma.
Quali potessero essere le conseguenze politiche di una simile biologia non è difficile immaginare: la passività nella riproduzione era uno degli elementi che giustificavano la posizione sociale e giuridica subalterna della donna.
La famiglia quindi, secondo Aristotele, deve avere un capo che non può essere che maschio; solo il capo ha il diritto di partecipare alla gestione della pòlis e solo a lui spetta comandare sulla moglie, sui figli e sugli schiavi. Sulla moglie, in particolare, il marito ha l'autorità dell'uomo di Stato.
Nella relazione tra il maschio e la femmina "l'uno è per natura superiore, l'altra è comandata ed è necessario che fra tutti gli uomini sia proprio in questo modo.
Ma perché la donna è naturalmente inferiore? Perché è dotata di una ragione (lògos) minore e imperfetta, cosicché è incapace di controllare la sua parte concupiscibile":

Quanto trascritto dovrebbe bastare al suo significato; che aveva la sua ragion d'essere nel "tempo" in cui fu concepito, ma che avrebbe dovuto essere Rivisitato nel trascorre dei "rapporti umani". Ma l'insegnamento di Aristotele come di altri Pensatori, ha avuto una funzione di "autorità" indiscussa per molto tempo, e poiché la formazione filosofica ha un "ruolo" determinante per l'ampliamento della coscienza operativa, anche in "coloro" che di tale insegnamento non né hanno "beneficiato" direttamente, poiché l'indirizzo dato all'agire della Collettività aveva (ed ha) nella Filosofia un riferimento fondante, la costruzione di un "comportamento" con "tali interpretazioni della natura dell'uomo e della donna" (che si traducesse  in atti "conflittuali" riscontrabili ancora ai nostri giorni) non poteva non averne i suoi effetti evidenti. 
Lascio  quindi alla riflessione del Lettore di questo Post, il fare le "utili" considerazioni, precisando che quanto trascritto, vuole rappresentare un "appunto" e non intende dare alcunché di indirizzo ideologico.

Cordialità, 
Sopangi.

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