Osservatorio di Arcetri - Firenze
L'introduzione a questo Post è nel 140° Post - Il Cielo.
Cordialità Sopangi
Dal Capitolo-Astronomi e Astrologi-del Libro "Il Cosmo degli Antichi" riporto lo scritto dell'ultima parte della pagina 112 e della pagina 114.
Il Pantheon dimostra che la religione dell'Epinomide platonico era divenuta, nell'Impero romano, la religione delle classi dirigenti. Cicerone in più passi del De Republica conferma questa ipotesi. Egli era amico e discepolo del grande astronomo Posidonio che tenne scuola a Rodi, ereditando il ruolo e probabilmente gli scritti di Ipparco di Nicea. I fenomeni astrali e le vicende terrestri erano per lui strettamente connessi. A sigillo conclusivo dell'opera Cicerone pone un brano, tradizionalmente tramandato come il Sogno di Scipione, che ebbe grande fortuna per le implicazioni cosmologiche e l'avvincente spiegazione del rapporto tra uomo e cielo. Nell'equilibrio dell'opera l'epilogo rivestiva una particolare importanza, poichè lasciava intravedere i legami inscindibili tra la virtù politica e la beatitudine celeste. Se per Platone la salvezza dell'anima si conquistava grazie alla filosofia, per Cicerone ciò poteva avvenire attraverso l'adesione all'etica repubblicana. La storia è ambientata a casa del re di Numidia, Massinissa, un leale alleato dei Romani e un sincero amico degli Scipioni. Il re accoglie Publio, giovane rampollo della potente famiglia e protagonista della vicenda, con una significativa invocazione agli dei astrali: "Grazie a te, o sommo Sole, e a voi tutti, dei del cielo", per avermi concesso di vedere prima che muoio un giovane Scipione. Quella notte Publio si addormenta profondamente e in sogno gli appare il famoso avo, l'Africano, che lo rassicura con la voce e lo prega di ricordare bene quanto gli dirà. Comincia così un viaggio astrale, durante il quale il giovane Romano incontra l'anima del padre e gli chiede perchè mai gli uomini siano costretti a rimanere prigionieri del corpo che impedisce di salire nel firmamento. Questi risponde che le porte del cielo si apriranno solo quando dio, cui appartiene lo spazio infinito, avrà liberato l'anima. Il nostro dovere consiste nel prenderci cura della sfera terrestre posta al centro del cosmo, perchè l'anima è stata data all'uomo "da quei fuochi eterni" chiamati costellazioni che ruotano circolarmente, "animate da mente divina". L'amore per la patria, la vera virtù del cittadino, è la via maestra che porta al cielo, e conduce in quel consesso di uomini le cui anime brillano come gli astri sfolgoranti in quel circolo di luminosissimo candore detto dai terrestri, con nome greco, Via Lattea. Publio, nel sogno, si trova proprio lì e dall'alto contempla le sfere planetarie e vede gli altri corpi celesti, fulgidi e bellissimi, di cui molti mai visti dalla terra, e di inimmaginabili dimensioni. L'astro più piccolo, la luna, è il più vicino al nostro globo e il più lontano dal cielo e non brilla di luce propria. La terra gli appare piccolissima dinanzi al volume degli astri, tanto da causare un forte sgomento al giovane, insoddisfatto e deluso dai limitati confini dell'Impero romano.
fine Prima Parte.
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