sabato 11 gennaio 2014

234° Post - Cronache da Firenze "fine '800"

Un saluto a chi mi legge e Buono Anno 2014


Mi pregio trascrivere dalla  Rivista Mensile "FIRENZE INFORMA" del Luglio-Agosto 2006 - Editore MEDIA POINT - Firenze -  un Piacevole Articolo sulla Firenze di fine '800.

Cordialità,
Sopangi.

Il ventre di Firenze, storia di un mercato che non c'è più.

"Non fu giammai così nobil giardino a quel tempo, egli è Mercato Vecchio che l'occhio e il gusto pasce al fiorentino".
Così, nel 1373 Antonio Pucci, campanaio e banditore, celebrava il Mercato Vecchio di Firenze.

Colori, grida e profumi dell'anima popolare.Ma quale poteva essere una giornata tipo nel Mercato Vecchio? Tutto era regolato dalla campana che era fissata alla Colonna dell'Abbondanza: le attività iniziavano con il sorgere del sole e terminavano poco dopo il tramonto, scandite dal suono di quel campanaccio. Entrando dal Baccano, che era un tratto di strada tra via Calzaiuoli e le logge del Mercato Nuovo, ci si trovava immediatamente in via Calimala e già si poteva dire di essere nel Mercato Vecchio, (oggi Piazza della Repubblica) che nel corso degli anni si era allargato a numerose vie limitrofe.
Era uno spettacolo di grida, risate, rumore di zoccoli dei cavalli di passaggio, suoni di musici che cercavano di rimediare qualche soldo, e poi i colori dei vari tendaggi che coprivano spesso la mercanzia di ogni bottega, una sorta di prolungamento di tela, spesso sgargiante, che si allungava per la strada, che sfiorava la gente, in una sorta di vera e propria casba. E gli odori, tra i più disparati: di fritto, di spezie, di pesce, miscelati al tanfo dei rifiuti di tutti i tipi che lordavano le strade, perché in quanto a igiene si stava maluccio.
Vicino alla Colonna dell'Abbondanza (che ancora oggi benché spostata di posto, si può ammirare in Piazza della Repubblica) per esempio, si spellavano le teste di agnello dopo averle scottate nell'acqua bollente della caldaia, e i resti si ammassavano negli angoli. Sulla sinistra di Calimala, si poteva trovare la bottega del Valenti, famoso per le acetose, le orzate e per il popone in guazzo.
L'umanità che brulicava era la più varia: serve affaccendate, cuochi con la sporta, contadini con carretti dalle campagne, popolani che cercavano di tirare avanti spendendo "co'gomiti" quel poco che avevano.
Lì, si fiancheggiava il palazzo dell'Arte della Lana dove c'erano i friggitori di roventini, di gnocchi, di sommommoli e di pesce che cuocevano in grandi padelle di rame. Nel tratto fino a via delle Sette Botteghe, avevano il negozio linaioli, canapai e venditori di ferracci. Nelle sere speciali, magari di venerdì e di sabato di qualche vigilia, oppure a Quaresima, lo spettacolo era sorprendente: "Le fiaccole delle padelle di sego, o dei lumi a olio infilati sopra un bastone, e le fiamme dei fornelli sui quali le padelle friggevano esalando l'acre odore di pesce e di baccalà, mandavano a distanza dei bagliori rossastri, degli sprazzi di luce e degli effetti di ombra curiosissimi" .
Si urlava richiamando i passanti e mostrando loro la cena da portare a casa: frittelle di mela, carciofi, baccalà, pesci d'Arno e fiori di zucca. I fumi e gli odori unti e grevi impregnavano i muri dell'Arte della Lana, che era una delle più antiche, famose e ricche di Firenze, con le sue 200 botteghe che davano lavoro a circa 3000 persone, e ben quattro tiratoi in città.

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